di Jiamila*
Quando ho deciso di dedicarmi alle relazioni internazionali, sapevo che non avrei potuto confinare le mie ambizioni entro i limiti del mio Paese. Fin da subito, infatti, come molti giovani italiani, ho percepito che le università straniere offrivano qualcosa che in Italia spesso sembrava mancare: ambienti dove il merito viene riconosciuto, le idee ascoltate e i percorsi formativi seguiti con attenzione. In questi contesti, opportunità come stage nelle istituzioni europee o incarichi presso think tank internazionali non solo appaiono più numerose, ma risultano anche più accessibili.
Proprio questa consapevolezza mi ha spinta a guardare oltre i confini nazionali, non per un semplice Erasmus o un’esperienza di breve durata, ma per intraprendere un vero e proprio percorso di studi all’estero. La mia scelta non è nata dall’attrazione per le grandi capitali europee o americane, bensì dal desiderio di formarmi in un ambiente capace di offrire qualità, concretezza e reali prospettive di crescita, elementi che raramente ho riscontrato nel panorama accademico italiano.
Il sistema universitario italiano, pur ricco di eccellenze, mi è sembrato spesso troppo teorico, poco dinamico e distante dal mondo del lavoro. Sentivo il bisogno di un approccio più pratico, di corsi multidisciplinari e di un ambiente che valorizzasse davvero il talento. Da qui la scelta di guardare a Paesi in cui l’università sia pensata come un ponte verso il futuro professionale, non solo come luogo di studio.
Nei Paesi Bassi, ad esempio, i corsi si tengono in inglese e si basano su metodologie attive come il lavoro di gruppo, i laboratori e i tirocini. In Danimarca e Irlanda, fin dai primi anni, lo studio si intreccia con esperienze pratiche, formando studenti preparati ad affrontare contesti professionali complessi. A ciò si aggiunge l’inestimabile valore degli ambienti multiculturali di atenei come KU Leuven in Belgio, Georgetown negli Stati Uniti o Sciences Po in Francia, dove ho potuto vivere un’autentica esperienza internazionale, costruendo relazioni con studenti e docenti provenienti da tutto il mondo.
Accanto alla qualità della didattica, mi ha colpita anche la ricchezza delle risorse offerte: biblioteche digitali avanzate, tutoraggi personalizzati, programmi di scambio, borse di studio. In molti Paesi europei, l’università viene considerata un investimento strategico per il futuro della società – e questo si riflette concretamente nelle politiche pubbliche. Anche sotto il profilo economico, non mancano opportunità interessanti: se gli atenei del Regno Unito o degli Stati Uniti hanno costi elevati, quelli di Germania o Scandinavia offrono formazione di alto livello a tasse ridotte o addirittura nulle per gli studenti europei.
I dati confermano questa tendenza. Secondo Eurostat ed Erudera, gli studenti italiani all’estero sono passati da circa 17.000 nel 2021 a oltre 77.000 nel 2024. Le mete più gettonate? Regno Unito, Germania, Austria, Spagna, Paesi Bassi, ma anche Francia, Belgio e Stati Uniti, soprattutto nei settori delle scienze politiche, dell’economia globale e delle relazioni internazionali.
Da studentessa che ha scelto di formarsi fuori dall’Italia, vedo in questo fenomeno sia il segno del valore e delle ambizioni della mia generazione, sia un campanello d’allarme per il nostro sistema universitario. Non si tratta di frenare la voglia dei giovani di partire, ma di creare le condizioni affinché l’Italia torni a essere un Paese attrattivo per chi vuole costruire il proprio futuro. Perché se i migliori continuano ad andarsene, non perdiamo solo dei talenti: rischiamo di compromettere il futuro stesso del nostro Paese.
* Jamila è il nome di fantasia di una giovane italiana di origine straniera che ha intrapreso un percorso formativo sulle relazioni internazionali.
